ASSOCIAZIONE CULTURALE CARLO SISMONDA
EnglishFrenchGermanItalianSpanish

Rodolfo Allasia. Nel silenzio del vero

Rodolfo Allasia. Nel silenzio del vero

Rodolfo Allasia
Nel silenzio del vero

Mostra
a cura di Anna Cavallera

Pinacoteca Civica
Levis Sismonda


Racconigi – Piazza Vittorio Emanuele II

Inaugurazione: sabato 13 maggio 2023 ore 16

13 MAGGIO – 10 SETTEMBRE 2023

Sabato 13 maggio 2023 alle ore 16, negli spazi della Pinacoteca civica Levis Sismonda, a Racconigi, avrà luogo l’inaugurazione della Mostra Personale intitolata “Nel silenzio del vero”, dedicata al noto artista racconigese Rodolfo Allasia (Racconigi, 1948).

La rassegna, promossa dalla Città di Racconigi, è organizzata dall’Associazione culturale Carlo Sismonda APS insieme alle volontarie ed ai volontari della Pinacoteca civica Levis Sismonda, vanta il patrocinio della Regione Piemonte, della Provincia di Cuneo e del Comune di Racconigi ed è stata realizzata grazie ai contributi di Fondazione CRT e alla collaborazione di Progetto Cantoregi, SOMS e Tonicadv s.n.c.

Curata da Anna Cavallera, l’esposizione presenta una quarantina di opere pittoriche scelte, le quali intendono ripercorrere visivamente la lunga carriera dell’artista racconigese, a partire dai primi lavori degli anni Sessanta, sino alle ultime tele del 2023.

Nel corso della rassegna si prevede l’organizzazione di convegni, incontri e serate di approfondimento sui temi toccati dall’esposizione, con la partecipazione delle realtà associative del territorio, delle scuole e di personalità dell’arte e della cultura.

«Rodolfo Allasia è figlio della creatività racconigese e percorre attraverso il suo personalissimo linguaggio le indimenticate vie tracciate da Giuseppe Augusto Levis e Carlo Sismonda.
Mi auguro che la sua opera possa essere a sua volta ispirazione per le future generazioni di artisti. Sono certo che la mostra segnerà un passo fondamentale proprio in questa direzione» - commenta Valerio Oderda, sindaco di Racconigi.

«Nel solco delle rassegne d’arte contemporanee dedicate agli artisti che hanno fatto e fanno grande il territorio della provincia di Cuneo, presentiamo con soddisfazione la mostra “Nel silenzio del vero” del pittore racconigese Rodolfo Allasia, che torna ad esporre nella sua città.
Una nuova tappa nella fervida carriera espositiva del pittore “del vero” che ha saputo collocare le forme nel silenzio magico di uno spazio inventato, un luogo che porta la sua inconfondibile firma. Innamorato della natura, ma libero di travolgerla e piegarla “all’idea”, Allasia ha superato i generi pittorici tradizionali adattandoli al proprio sentire. Svincolato da qualsivoglia corrente, rifugge le foghe delle avanguardie del Novecento, accogliendo una certa aderenza al Realismo – realismo che, da Courbet in poi, fino al sopraggiungere dell’Astrattismo e dell’Informale è sempre appartenuto allo stato dell’arte – coniugato e sublimato in modo assolutamente soggettivo.
Questa mostra racconigese vorrebbe rappresentare un’occasione per tentare di conoscere e capire il linguaggio pittorico di Allasia e la spinta che muovono il suo sguardo ed il suo profondo sentire in una varia e molteplice declinazione di temi e colori, ora con urgenza, ora con pacata delicatezza» - afferma Anna Cavallera, direttrice della Pinacoteca civica Levis Sismonda di Racconigi e curatrice della mostra.

Orari:
Sabato e domenica ore 15,30 – 18,30
Visite guidate su prenotazione; possibilità di aperture straordinarie su prenotazione per gruppi e scolaresche.

Info:
Ufficio turistico di Racconigi - visitracconigi@gmail.com - 392/0811406;
Associazione Culturale Carlo Sismonda APS - associazionesismonda@gmail.com;
Pinacoteca civica Levis Sismonda - www.pinacotecalevisismonda.it; pinacoteca.racconigi@gmail.com, instagram@pinacoteca_levisismonda; facebook@PinacotecaLevisSismonda



Nel silenzio del vero
Anna Cavallera

Il silenzio che permea le opere di Rodolfo Allasia lascia spazio all’ascolto ed esprime il significato dell’incontro, in tutta la sua complessità. Un luogo dove il desiderio di conoscenza ed i più profondi moti dell’animo entrano in relazione con il reale e lo tramutano in vero, in un universo astratto, intimo e soggettivo. La verità narrata da Allasia è cristallina e non cerca conferme. Assume le sembianze di una celebrazione laica del mondo intellegibile con il quale l’artista entra in una sorta di comunione spirituale. Una pacificazione che si irradia attraverso il suo sguardo, si fa emozione e poi passa tra le mani che segnano la carta a colpi di tratti liberi e sicuri. Le tele accolgono e trattengono lo stupore di un uomo che ha conservato la capacità di meravigliarsi e trasfigura il reale in qualcosa di elevato e trascendente, autentico e puro. Nell’eco di una verità. La sua.
Da bambino trascorreva interminabili pomeriggi accovacciato sul marciapiede della sua casa racconigese, in via Roda - dov’era nato il 4 ottobre del 1948 -, intento a riprodurre le copertine delle Domeniche del Corriere. Una volta terminate le scuole dell’obbligo, Allasia avrebbe voluto iniziare gli studi artistici, ma il padre Gian Maria, reduce della guerra d’Abissinia e dall’aver trascorso una dozzina d’anni di colonia africana, lo voleva geometra e pertanto lo spedì a frequentare l’Istituto Baruffi a Mondovì, ospite presso il collegio dei padri filippini. Ma da quella prigione il pittore scappava puntualmente e spesso trovava rifugio a casa di Lidia Beccaria Rolfi, ex deportata a Ravensbruck, figura importante nella sua formazione che lo indirizzò ad una nuova coscienza sociale e politica, antifascista. E proprio al piano superiore dell’abitazione della Rolfi, Allasia aprì il suo primo atelier quando aveva diciannove anni.
Nel ’68, negli anni delle contestazioni giovanili e delle rivolte studentesche, Allasia militava in Democrazia Proletaria e partecipava attivamente alle manifestazioni contro la guerra in Vietnam, alle lotte sindacali e sociali degli anni Settanta, realizzando volantini e grafiche per i vari circoli politici. Allora aveva vent’anni e non doveva essere facile vivere in una realtà sociale come quella di Racconigi, “dominata” dal castello reale, così possente e simbolico, un unicum sabaudo accentratore, posto nella piazza principale del comune.
All’università torinese scelse Scienze Politiche e, seguito da Vanessa Maer, si laureò con una tesi in Antropologia culturale, incentrata sui rapporti tra i contadini racconigesi, i “ciabutè” da una parte ed i “casinée” dall’altra.
Come la maggior parte degli studenti, indossava l’eskimo, quello “innocente” cantato da Guccini. Una dichiarazione politica, una divisa, un accessorio. Il simbolo di un’appartenenza. Di quegli anni ha forse mantenuto il sorriso un po’ disincantato o i sogni delle lotte per un domani più giusto e - quasi un’estensione tangibile del passato - una bella barba bianca dove ha intrecciato i suoi ricordi, come la luce del giorno s’intreccia al buio della notte.
Certamente invisibile ai più, trascinata e riempita anno dopo anno, si è portato dietro una valigia carica di parole non dette, silenzi ed assenze, addii e dolori. Il suo amico d’infanzia Giovanni Bonavia, nelle poetiche riflessioni che gli ha dedicato, dà un nome a questa sofferenza nascosta e la definisce “pesantore”, con un’accezione quasi fisica che preme sul petto e che non ha un corrispettivo calzante dal piemontese.

La sua carriera espositiva inizia nel 1966 e la sterminata produzione illustra come per lui non sia stato necessario inventarsi una prospettiva deformata o visionaria, una falsata teoria delle ombre, avendo egli avuto una solida formazione visiva, geometrico – architettonica nei confronti della quale anche osservatori esperti tendono a sorvolare. Come emerge in molti paesaggi e particolari di case e palazzi, egli tende a superare la rappresentazione della realtà e a trasformare il naturale secondo una visione personale spesso sublimata, annullando particolari e dettagli, elementi di riferimenti spaziali, circostanze arricchenti, mirando al minimale e alla salvaguardia della forma pura. Le prospettive e le deformazioni percettive del vero, sia formali che cromatiche, possono essere scavalcate non solo dalla sensibilità visiva ma dalla necessità, dall’urgenza pittorica di aggiungere o togliere sfumature, categorie concettuali con cui si può definire e giustapporre o falsare l’apparenza, con fenomeni d’interazioni cromatiche metalinguistiche, in riferimento ai bisogni di luce e contrasti chiaroscurali.
Nel 1971 espone nella Sala Comunale di Corso Principi di Piemonte e sarà il pittore e compositore racconigese Carlo Sismonda a presentare la mostra, scrivendo come nei ventiquattro dipinti proposti, dai temi fortemente sociali «Allasia raggiunge il culmine della sensibilità creativa».
Dal 1982 inizia a frequentare lo studio di Nino Pirlato (Racconigi, 1911 - 2002), esperto decoratore, restauratore, freschista e pittore di nature morte che, a sua volta, fu allievo di un altro notissimo affreschista di soggetti religiosi, Luigi Morgari (1857-1935).
Nel 1992, dal momento che “non aveva più nulla da insegnargli”, Pirlato lo porta nello studio di Ottavio Mazzonis - maestro del Novecento subalpino uscito dalla bottega di Luigi Calderini, poi di Nicola Arduino, allievo a sua volta di Giacomo Grosso – dove il pittore racconigese svolgerà il suo praticantato e con il quale stringerà una profonda amicizia, basata sulla comune passione per la pittura.
Allasia completerà la sua formazione artistica frequentando a Torino i corsi di nudo con Giacomo Soffiantino e nel tempo costruirà una propria cifra espressiva che supera i generi pittorici tradizionali, adattandoli al proprio sentire. Svincolato da qualsivoglia corrente, rifugge le foghe delle avanguardie del Novecento, accogliendo una certa aderenza al Realismo – Realismo che, da Courbet in poi, fino al sopraggiungere dell’Astrattismo e dell’Informale è sempre appartenuto allo stato dell’arte – coniugato e sublimato in modo assolutamente soggettivo.

«Sono uno che ama dipingere. Provo a fare il pittore», racconta con voce pacata mentre scarabocchia un’idea su di un pezzo di carta, ma il suo fraseggio è libero e autonomo e la miriade di temi e colori nati dalle sue mani sono la risultante della vocazione irrefrenabile dell’artista. Del pittore che tenta di fermare la bellezza muovendo lo sguardo ora con urgenza, ora con pacata delicatezza.
Egli prende il largo da ogni accademismo, da ogni compiaciuta formula iperrealista, poiché non gli interessa.
Nella genesi del suo fare pittorico compare dapprima la meraviglia del reale, in tutta la sua crudele potenza e da questa scaturisce la percezione profonda di chi sa leggere e tradurre la grammatica del regno naturale, di quello animale, così come di una piazza assolata, di una stazione deserta o ancora di un verde declivio erboso, slegati ed insitamente indipendenti dalla loro presunta funzione.
Ogni soggetto, tema o oggetto ritratto porta con sé storie, diventa veicolo di emozioni, suggestioni, messaggi. Barattoli di ricordi colmi di nostalgia e di sensazioni taciute. Non tutto dev’essere per forza spiegato e così è nei suoi dipinti. Nulla deve al reale né allo sguardo di chi incontrerà le sue tele e tra Naturalismo e Realismo - che nella storia talora si identificano – l’artista privilegia il Vero, isolato dal contesto e identificato.
La sua esemplare capacità pittorica e il ductus vigoroso traducono nel disegno espressioni e dichiarazioni di concetti tratti dall’animo, fenomenizzazioni dell’idea, convenzioni visive di un’essenza. Egli possiede con naturalezza quell’esprit du contour capace di animare e conferire afflato vitale alle forme. E il disegno possiede in sé un valore prioritario, autonomo e semantico che al colore di per sé non appartiene, tant’è che le figurazioni di tipo lineare riproducono le cose come sono, mentre quelle pittoriche, come appaiono.
Allasia bonifica l’orizzonte dal superfluo senza sminuirne la complessità, elimina da ogni incongruenza i contorni di un mondo ingarbugliato.

I soggetti trattati partono dalla natura.
Egli si sofferma sui paesaggi, sui prati e sui campi del territorio caratterizzati da filari di pioppi, da stradine solitarie di campagna, verdi brillanti o innevate e percorse da persone in bicicletta che arrancano lungo alti muri segreti; ritrae betulle, gelsi, corsi d’acqua, riflessi struggenti sul Maira, guardando con un certo distacco dal plein air impressionista.

Le marine, che come per altri soggetti egli “vede” e rappresenta con tagli singolari, con una prevalenza, ora dell’altezza sulla larghezza, o viceversa, raccontano la bellezza dell’acqua trasparente, delle onde e della schiuma e la grandiosa calma del mare. La vita interiore che si proietta nella natura.

Guarda alla figura umana, ai nudi, prevalentemente femminili, in cui evidenzia una capacità straordinaria nel fermare la spontaneità delle posture, la sensualità, la freschezza e la perfezione delle anatomie tratteggiate con maestria e ineguagliabile sensibilità, così come tratta con cura anche i corpi vestiti di uomini, donne e bambini, rappresentati frontalmente secondo posizioni preordinate.
Il ritratto frontale corrisponde ad un io di cui lo sguardo enuncia la trascendenza e l’essere, l’hic et nunc. Il presente diviene un attimo dilatato nell’eterno e nello sguardo diretto troviamo la contemplazione dell’assoluto. Un punto di vista nello spazio, come nel tempo. Soggetti laici immersi in dimensioni metafisiche che talvolta richiamano le solitudini di Hopper.

In altre opere, in particolare nei nudi contemplati di schiena, fa suo un certo rifiuto della rappresentazione diretta e conforme, aderente del tutto alla realtà, in favore di un’evocazione d’immagine, di un lieve prodigio creato da segrete corrispondenze del tratto veloce o del colore filtrato. In alcune scene, come si percepisce anche in altre visioni naturali, sembra d’avvertire il rimando all’atmosfera sospesa dei simbolisti francesi (non certamente alla stilizzazione delle immagini) con una forte componente spirituale, un’apparente estraneità dal mondo, una decontestualizzazione del soggetto che, anche grazie al colore e alle tonalità soffuse e sfrangiate, per certi aspetti scapigliate, attribuiscono all’opera una valenza psicologica.
Sembrerebbe coerente, in questa particolare visione dell’artista, alludere a Leonardo e al suo ricorrere alla “poesia della sera” che annulla i contorni e l’incisività dei volti nello sfumato, quando le linee di contorno – che peraltro non esistono - si sfaldano nell’atmosfera.

L’artista ha inoltre riservato un’attenzione particolare al tema della vecchiaia, una sorta di elogio della terza età. La vecchiaia, o i giorni del provvisorio, ha una rappresentazione non comune in opere come “Pessoa torna dal caffè (studio) del 1990 o più ancora, “James Joyce alla Pessona”, olio su tela del 1993 dove nel meraviglioso prato costellato di soffioni, così fragili ed effimeri, si legge una metafora della vita. Nella figura che avanza incerta si percepisce una pacata tristezza, un senso di sconfitta, forse la caduta dei sogni o l’allusione al distacco inesorabile dall’esistenza, ai nuovi viaggi dello spirito.

E poi, il canto pittorico della natura.
Allasia ha rivolto lunghi, attenti ed amorevoli sguardi agli animali: fra questi le vacche, raffigurate al pascolo, con le zampe nell’acqua di un torrente o nel Maira, gli occhi miti e dolci rivolti al pittore. Pacifiche ed impassibili nei prati assolati, ma anche solitarie nei pascoli e nelle nebbie degli alpeggi, fra il suono dei campanacci e i declivi sotto la pioggia.
In alcuni dipinti travolge la tradizione materiale della visione di questo bovino, molto amato dagli artisti, da Segantini a Fattori, da Andy Warhol a Chagall, passando per Mirone di Eleutere, inserendo, con una certa irriverente contraddizione, fondi in foglia d’oro. E la trascendenza gotica e sacra che colleghiamo per convenzione alla decorazione cristologica paleocristiana e bizantina, alla bidimensionalità dei soggetti musivi, annullano le loro funzioni allusive per accostarsi con palese contrasto, al plasticismo e alla materia terrena dei grandi corpi bovini.

Dall’elogio della vacca si giunge a quello dedicato al coniglio, erma ironica e contemporanea, ma anche il nobile richiamo al Giovanni Acuto a cavallo di Paolo Uccello. A questi si affianca quindi l’inno pittorico riservato a ciò che nasce nella terra, alle varietà del cavolo, dal cavolfiore alla verza, dai porri al cavolo rosso, cavolo nero, cavolo cappuccio, rape, pomodori, broccoli e finocchi.
Quelli di Allasia non sono gli sterili esercizi competitivi ed iperrealisti di chi guarda ai generi della natura morta secentesca e della pittura fiamminga, non le vanitas né il memento mori, bensì la rivelazione di un prodigio trasfusa su tela. L’interpretazione ammirata del mistero del creato dove spiccano il singolare eppure semplice fascino delle forme e dei colori di certi ortaggi, le inflorescenze dalla geometria perfetta, le configurazioni frattali create dalla natura, grazie alle quali le forme viventi emergono dal caos come un silenzioso miracolo e si evolvono per sopravvivere e prosperare.

La sua produzione è la risultante dell’onestà intellettuale di un uomo consapevole della libertà del proprio sentire che ha imparato a riconoscere tanto il respiro sottile degli alberi nelle notti d’inverno, quanto le tempeste che si annidano nell’animo delle persone che ritrae.
Conosce le tenebre e le illumina di una nuova luce ammantata di poesia; bagliori che rischiarano oasi affioranti nell’infinito irradiarsi del tempo, radure e rifugi sicuri che placano l’animo, cantucci dove appoggiare pensieri affannati e confusi.

I suoi occhi, ancora oggi che è un uomo grande, conservano la curiosità dei bambini e sorridono dietro le lenti degli occhiali, offuscati da una velata malinconia. La sua pittura rispecchia l’animo dell’uomo tollerante e indulgente che approccia con rispettosa benevolenza un creato insondabile e molteplice, del quale resta solo la bellezza. Quella del suo sguardo d’artista.


Questo sito utilizza cookies per offrirti un'esperienza di navigazione migliore. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l’uso dei cookies. Maggiori informazioni.